mercoledì 18 maggio 2011

Old one, better one.

" Era un tripudio di colori, di luci, di odori. Le vene pulsavano e il cuore martellava nella testa. Sentivo l'adrenalina salire, passo dopo passo, e i miei occhi scattavano furiosi tra la folla. Avanzavo tra seducenti scintillii e grida disumane, le mie orecchie imploravano silenzio, ma la mia fame richiedeva distrazioni. Amplificatori che esplodevano in piaceri musicali, che accarezzavano ogni fibra del mio corpo. E li sentivo sussurrare in continuazione. Mi chiedevano un caldo rimpiazzo, un sostituto. Avevo bisogno di calore. 
Avevo freddo, eppure ero immersa in corpi che tremavano e si agitavano, sudati, che fremevano al suono delle percussioni insistenti. La stanza girava, e non sentivo le gambe. Due massi. C'era un ghiaccio che scavava dentro il mio stomaco, e mi teneva in una morsa gelata. E poi, tutto mi sembrò così...leggero. 
I colori che si alternavano in continuazione cominciarono a rallentare, e pure la musica. Mi sentivo in una bolla di sapone. I suoni ovattati alleviavano i miei timpani distrutti dal frastuono precedente. Persi l'equilibrio, e caddi in terra. Non svenni però; avevo gli occhi socchiusi, e mi sentivo in estasy. Era tutto così semplice lì, nella mia bolla. Distesa sul pavimento attirai l'attenzione della folla, che mi si fece tutta intorno. Avevano tutti delle facce talmente preoccupate da causarmi le risa; e più ridevo, più cresceva in loro il panico. 
Sentii una mano accarezzare le mie guance, e provai un brivido freddo. Qualcuno mi sventolava davanti un pezzo di carta, altri cercavano di alzarmi. Ma non volevo lasciare quel pavimento soffice e rassicurante. Ero solo una piuma che cercava la sua tranquillità in uno spazio di cemento. Sorridevo, e osservavo le loro labbra distorte e i loro occhi rossi e minacciosi. Cercavano di dirmi qualcosa, ma non capivo. Era come se parlassero un'altra lingua, come se quelle parole non avessero significato. 
Mi piazzarono su un divanetto, e mi portarono un bicchiere d'acqua. Ma di bere non ne volevo sapere. Ero ancora nel mio mondo, lontana dalla realtà. Nuotavo nella mia mente, e pian piano volavo via da quei colori, da quelle luci, da quegli odori. Riuscii a udire a malapena una voce. Una voce che mormorava delle parole che lentamente acquisivano sempre più valore. Pronto soccorso, aiuto, starai meglio. Ma io stavo già meglio. Io stavo bene.
Provai a scappare da quella marmaglia informe, ma le mie gambe erano ancora intorpidite, e la mia testa frullava. Con tutta la forza che possedevo mi alzai dal divanetto e mi divincolai, sfuggendo dai miei "soccorritori". Trovai l'uscita e mi fiondai fuori, all'aria aperta. La notte fonda avvolgeva il quartiere e la luna era nascosta dalle nuvole nere. Non ricordavo dove fossi, ma ero certa di trovarmi in un posto sicuro. 
Ero sempre più pesante, sempre più stanca, sempre più sconvolta. L'euforia scemava, e non controllavo più il tremito che pervadeva il mio corpo. Mi accasciai al suolo, e chiusi gli occhi; impossibile. Le palpebre non rispondevano al mio bisogno di quiete, e osservai il cielo oscuro. 
Non avrei mai creduto di potermi sentire in quel modo. Di poter assaporare quella libertà surreale. Di poter essere investita da quella sensazione così violenta. Un'emozione devastante. Una carneficina dei miei insulsi neuroni. Soddisfatta, appagata. Nella solitudine della mia ragione. E mi chiedevo se quella fosse la realtà, e il mondo solo un'illusione. Una farsa, un bello spettacolo teatrale. Se quello fosse l'ultimo atto. E se, in quel momento, fossi spettatrice, e non marionetta. Quella era normalità, o insana fantasia.
Quegli strani attimi sembravano così felici e innocenti. 
Cercavo invano risposte nel mio delirio, nella pazzia di quella notte. Ma non ne trovavo. Aspettai in silenzio che quelle domande invadessero i miei sensi, mi facessero morire per la curiosità.
Ma non lo fecero, e mi lasciarono inerme a terra. 
E finalmente mi addormentai. "

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